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Fake news dal nostro cervello

di Antonio Calamo

Il volto del Redentore appare su di un toast un po’ bruciacchiato in un pub irlandese, una Madonna benedicente si intravede in una macchia di muffa in un parcheggio di un panificio di Bogotà, un misterioso volto di donna si vede sulla superfice di Marte. Questi fenomeni visivi, tra il mistico e il fantascientifico, sono accumunati dallo stesso meccanismo psicologico: la pareidolia.

Il nostro cervello è in grado di darci informazioni sul mondo che ci circonda anche da dati insufficienti, e questo meccanismo è risultato vincente durante il nostro cammino evolutivo. Individuare la presenza di un predatore da pochi elementi è sicuramente un vantaggio, se poi qualche volta ci si sbaglia fa niente, una arrampicata in più sui rami di un albero non è così pericolosa come aspettare e vedere bene se le macchie intraviste nella boscaglia siano proprio il volto di una tigre. Nel 2014 l’articolo “Seeing Jesus in toast: Neural and behavioral correlates of face pareidolia” di Kang Lee dell’University of Toronto insieme ai suoi colleghi dell’Institute of Automation della Chinese Academy of Sciences di Pechino ha vinto, nella categoria “Neuroscienze”, il premio IgNobel, versione goliardica del Nobel che viene dato a lavori scienti-fici che «prima ci fanno ridere, e poi ci fanno pensare».

In questo articolo viene analizzato il fenomeno della pareidolia a livello di risposta neuronale e si evidenzia che quando vediamo un volto si attiva una particolare area della parte destra del nostro cervello, chiamata circonvoluzione fusiforme. Questa area si attiva anche se vediamo qualcosa che solo alla lontana ricorda un volto, cioè un’area del nostro cervello è “programmata” a riconoscere facce anche quando non ci sono; non per niente il predatore più pericoloso per l’uomo è l’uomo stesso.

La circonvoluzione fusiforme è deputata anche al riconoscimento delle parole ed esiste anche la versione acustica del fenomeno della pareidolia. Un esempio in rete https://www.youtube.com/watch?v=OxFVABUdqiU dimostra come il nostro cervello cerchi di dare un senso compiuto nel caso di suoni o lingue di cui noi poco o per nulla sappiamo. Il fenomeno è ben conosciuto ed è riportato anche nella letteratura classica. Nei “Delitti della via Morgue”, Edgar Allan Poe racconta, in quello che è considerato il primo romanzo poliziesco della storia della letteratura, la barbara uccisione di una madre e di sua figlia.

I pochi testimoni non hanno visto nulla, ma riferiscono di aver sentito l’assassino parlare alle vittime. Interrogati singolarmente, ognuno riferirà all’investigatore di una diversa lingua usata dal cri-minale di cui non avevano capito bene le parole. Si scoprirà, alla fine, che gli omicidi sono stati commessi da un Orango sfuggito al suo padrone e le parole sentite erano, in realtà, grida animalesche.

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